Oltre a competere con la produzione di cibo, il fotovoltaico nei campi agricoli si può dire che sia fonte diretta di disoccupazione, aumenta l’uso dei diserbanti a causa della necessità di tenere sgomberi i campi dalle infestanti che potrebbero rubare la luce.

Di forme di energia rinnovabile ce ne sono molte. Ma pare che l’Italia punti a guadagnarsi il Guinnes dei primati esclusivamente sul solare. Nel 2011 infatti l’Italia, che non brilla per la sostenibilità ambientale si è superata battendo la Germania, la Cina e gli USA. Mentre la Germania calava la potenza del 20% dal 2010 al 2011, l’Italia, è passata ad un aumento di quasi il 50% superando lo stato tedesco con 6,9 gigawat contro i 5,9 gigawat.
Avendo superato la Germania, numero uno al mondo, ora è l’Italia a detenere il primato mondiale, a seguire: gli Usa con 2,7 gigawatt, la Cina, 1,7 gigawatt, il Giappone 1,3 gigawatt e la Francia con un gigawatt.
Oltre agli incentivi particolarmente vantaggiosi, ad aumentare le superfici destinate al fotovoltaico in Italia, è stata una legge, la n. 81 del 11/2006 che ha definito la cessione di energia calorica e da fonti rinnovabili, come attività che possono essere considerate agricole. In questo modo, gli agricoltori hanno avuto modo di “coltivare” i pannelli fotovoltaici alla stessa stregua di un altra coltivazione. A partire dalla legge, gli incentivi hanno poi permesso di spingere l’accelleratore, dando il via alla più grande conversione agricola della storia. Oltre alla diminuzione della domanda in Germania, un altro elemento chiave ha reso il paese delle energie rinnovabili per eccellenza meno aggressivo sul fotovoltaico, dal 2010 ha abolito le incentivazioni sui pannelli fotovoltaici nei terreni agricoli, proprio per evitare ciò che sta accadendo in Italia. Confermandosi un paese più “green” tutelando la risorsa più importante e strategica, ovvero la terra.
Oltre a competere con la produzione di cibo, il fotovoltaico nei campi agricoli si può dire che sia fonte diretta di disoccupazione, aumenta l’uso dei diserbanti a causa della necessità di tenere sgomberi i campi dalle infestanti che potrebbero rubare la luce. Inoltre i pannelli fotovoltaici non durano all’infinito, dopo 20 anni a fine del ciclo produttivo devono essere smaltiti assieme ai molti materiali, di scarto: plastiche, alluminio, silicio, ferro, cemento e tutti i componenti elettrici connessi ai pennelli fotovoltaici. In molti casi il costo del loro smaltimento su alte superfici è tale che si prevede il rischio dell’abbandono per diversi anni degli stessi terreni resi così inagibili. Una quantità di materie che nel 2010 sono arrivate a coprire 33.000 ettari in tutta Italia.
La regione maggiormente ricoperta da pannelli è la Puglia con la cifra da record di ben 14.000 ettari. Complice di questa ondata di pannelli è stata anche l’incertezza dei prezzi altalenanti del grano che ha incentivato gli agricoltori a cambiare destinazione produttiva. In molti casi è bastato anche semplicemente concedere la propria superficie ad investitori disposti a pagare fino a 6000 euro per i diritti di superficie nel 2010. Una forma di Landgrabbing pulita, si potrebbe dire. Si specula per vendere metri di terra da destinare al profitto dell’energia e sottrarli al cibo. Non è comunque un problema tutto italiano, l’intervento di operatori non-italiani è stata molto frequente. Il bel paese è diventato terra di conquista anche per i nostri vicini d’Europa. E’ stata così messa all’asta la terra, utile alla produzione di cibo.
La stessa Arpa, denunciano che ormai gli impianti, sono costituiti da installazioni enormi, superiori ai 10 Mw, confermando le ipotesi della Coldiretti per cui sono altri i soggetti ad impiantare i pannelli fotovoltaici e non di certo gli imprenditori agricoli che con i soldi ricavati dall’energia solarei avrebbero potuto fare investimenti per migliorare l’attività produttiva. In altri termini i pannelli fotovoltaici, più che essere legati al reddito agricolo, sono a tutti gli effetti un reddito finanziario, dove i soggetti interessati alle superfici agricole sono altri e non più gli agricoltori che non dispongono sicuramente di sufficienti fondi per investire negli onerosi pannelli fotovoltaici.
Da qui, la convenienza a concedere le proprie superfici rinunciando alla coltivazione vera e propria, piuttosto di poter far tornare i conti e riuscire a chiudere l’anno senza debiti. Secondo il direttore scientifico dell’Arpa Massimo Blonda, in alcune regioni d’Italia, si parla anche di rischi idrogeologici, modifiche della flora per via delle ampie zone d’ombra create dai pannelli, che possono anche arrivare a modificare il microclima se le superfici sono troppo vaste. La dove i terreni si presentano più vulnerabili, sono probabili fenomeni di desertificazione, dovuti alla cessazione dell’attività biologica, a causa dell’assenza di luce. Come spiegava Carlo Petrini in un articolo apparso sulla Reppubblica, il modo con cui si opera sul solare è lo stesso con cui si è da sempre agito sulle energie da combustibili fossili, ovvero la centralizzazione, per cui si concentra la produzione di energia in grandi centrali per la produzione energetica. Come spiega Petrini, le energie rinnovabili, aria, vento e sole, sono per loro natura diffuse.
Il fotovoltaico in sè comunque non porta disgrazie, è anzi un ottima occasione per produrre energia pulita, ma va ripensata in un ottica innovativa, come l’integrazione ad esempio sulle superfici abitative esterne. Sempre nell’ottica d’integrazione, pare sia possibile ad esempio concepire coltivazione di cibo e di pannelli fotovoltaici insieme. La soluzione ha già un neologismo, originale che si spiega da sé: agrifotovoltaico. Basterebbe posizionare i pannelli fotovoltaici ad un altezza abbastanza alta dalla superficie del suolo, in maniera da permettere che la luce arrivi al suolo senza problemi. E’ una soluzione, che comunque ha i suoi costi e può essere difficile da realizzare, ma la dice lunga sul pensiero che si deve avere nei confronti dell’uso di energie rinnovabili, ovvero pensare in maniera del tutto innovativa o rivoluzionaria e abbandonare le vecchie abitudini.
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